Leggere è crescere, formarsi, volare e molto altro. Nei primi giorni del lockdown per me è stato anche qualcosa di difficile, quasi impossibile. Credo sia stata una reazione a ciò che stava incombendo, con la sua componente di incertezza e paura. Pian piano, però, quella della vita casalinga, pur mitigata dalla fortuna di avere un giardino, è divenuta una dimensione accettabile e leggere è tornato possibile. Anzi, leggere è diventato tornare a formarsi, a modificare atteggiamento mentale, a cercare stimoli per modificare i miei comportamenti futuri, sebbene in un contesto dai contorni del tutto ignoti. La pila di libri che attendevano di essere letti da tempo mi ha dispensato tre belle letture, tre testi di ispirazioni per chi, come me, si occupa di piante, di ambiente e di educazione. Per questo li presento volentieri.
Andando in ordine cronologico, la lettura con cui ho iniziato è "La resilienza del bosco" di Giorgio Vacchiano. Leggerlo è stato come mettere un punto al termine di una frase e ripartire. Per chi, come me, ha studiato agraria con un’insolita attenzione alle foreste, le ha frequentate per diletto, per lavoro (quante aree di saggio!) e per professione (sono pure sempre una guida ambientale!) è stata un’occasione per rispolverare tante cose note, ma anche per scoprirne di nuove. Questo anche perché negli ultimi decenni il mondo delle piante e delle foreste è stato oggetto di sguardi nuovi e di molte scoperte. Giorgio Vacchiano è molto bravo nel portare sul piano divulgativo le nuove scoperte, nel mescolare tratti di vita con approfondimenti scientifici, nel portarci nel proprio vissuto e nelle proprie osservazioni. Anche nel dimostrare come uno studioso, un pensatore, non possa mai distinguere tra un tempo di lavoro e uno di riposo. Ma c’è di più: leggendo diventa più chiara la fitta ragnatela che ci lega alla vita delle foreste, all'importanza del nostro sguardo verso di esse, alle conseguenze dei nostri gesti quotidiani sul destino del pianeta. Si fa più chiaro il ruolo della scienza che "non potrà mai dirci cosa fare, ma può e deve fornirci gli strumenti per leggere un mondo in costante cambiamento, in cui ogni elemento (compreso quello umano) è strettamente connesso a tutti gli altri", in cui "cultura e natura, uomo e ambiente, crisi climatica e diritti umani sono in realtà due facce di uno stesso, unico sistema".
Uscito dal bosco resiliente di Giorgio Vacchiano, mi sono avventurato ne "La Nazione delle piante" di Stefano Mancuso. Ancora non so se si tratta di un libro sulle piante o scritto, per mano del suo autore, dalle piante. Di sicuro, leggendolo si impara molto sui vegetali, su come siano organizzati, individualmente e socialmente, in modo diverso dal nostro e tremendamente adeguato per sopravvivere sul pianeta ben più di Homo sapiens ("il nome della nostra specie", ci dice l'autore, "descrive immediatamente la principale caratteristica che ci contraddistingue: la presunzione"). I capitoli del libro sono una dissertazione ragionata e colta, ma sempre facile da leggere, degli articoli di una vera e propria costituzione scritta dalle piante. Si (ri)scopre, così, come cloroplasti e mitocondri potrebbero essere nientemeno che organismi viventi indipendenti divenuti parti costituenti della cellula eucariote come esito finale di una simbiosi. Il tutto mentre le piante ci consigliano di cooperare e di lasciare le reti di comando verticistiche per passare a quelle diffuse, decentralizzate e reiterate secondo moduli capaci di mantenere un'autonoma efficacia. Come nel libro di Giorgio Vacchiano, anche in questo si viaggia, ma non solo sul pianeta: i licheni, per esempio, ci accompagnano nello spazio con un razzo Soyuz per dimostrare che un alga e un fungo cooperanti riescono a sopravvivere per due settimane del vuoto siderale. Intanto, vacilla anche qualche mia convinzione basata su un'idea di probabilità. Ciò perché, come dice in modo convincente Stefano Mancuso, quell'idea di vivere su uno dei tanti pianeti abitati dell’universo che da sempre mi accompagna potrebbe aver bisogno di una revisione. Tutti noi "potremmo benissimo essere dentro una bolla formata dai beneficiari di un enorme, incommensurabile, colpo di fortuna. La sola bolla formata da esseri viventi nell’universo. L’unica bolla, in altre parole". La più preziosa.
Se questi due libri sono contemporanei, ricchi di informazioni e generatori di nuovi sguardi sulla vita intesa in senso biologico, sulla natura, sulle foreste e sul futuro del pianeta, "Una seconda natura" di Michael Pollan, unico non scienziato tra i tre autori, viene dal passato, dagli ormai lontani anni novanta, ma tra i tre è il libro che ti fa chiedere "perché non l’ho letto prima?". Pollan è avvincente anche quando sembra perdersi nella scrittura di un capitolo da cui riemerge con la forza di riflessioni che ti lasciano di stucco, che recuperano ogni infinitesimo particolare precedentemente descritto per catapultarti verso un radicale cambio di sguardo sul rapporto tra umanità e natura, tra cultura e natura. In questo modo, si sovverte la tradizionale contrapposizione per arrivare a capire che è solo un equivoco che è necessario superare per vedere natura e cultura come parte del medesimo racconto. Così un catalogo di semi diventa la prova inconfutabile che, mentre siamo convinti di usare le piante nel nostro orto o giardino, in realtà siamo solo un mezzo che i vegetali usano per diffondere i propri geni sul pianeta, che nessuno, nemmeno nel mondo delle piante, è alieno e straniero, che siamo noi a coltivare ciò che definiamo erbaccia, che più che alla foresta dovremmo forse guardare al giardino per delineare un futuro in cui cultura e natura coesistono fuori da un possibile scontro tra umanità e natura. E, ancora, scopriamo come gli alberi siano divenuti simboli e depositari delle nostre metafore (allora perché non piantare un albero della pandemia?) e che dovremmo chiederci se "stiamo parlando di natura o di cultura quando raccontiamo di una rosa (natura) che è stata selezionata (cultura) in modo che i suoi fiori (natura) inducano gli uomini a immaginare (cultura) il sesso delle donne (natura)", fino a comprendere che "è di questo genere di confusione che avremmo più bisogno" nel nostro cammino verso il futuro, un futuro nel quale "forse anche la natura incontaminata ha bisogno di una cornice, del contrasto con l’artificio umano".
Sono state tre letture che, al pari della pandemia e delle restrizioni alle libertà, lasceranno il segno nel mio agire quotidiano, nella vita e nella professione, proprio come dovrebbero fare i libri che, nel nostro piccolo universo personale, meritano un posto nella libreria che porteremmo con noi nel viaggio verso un nuovo pianeta.
Agronomo, guida ambientale, tecnico dell'animazione socio - educativa, formatore e atelierista educativo: il professionista degli interventi socio-educativi mediati dalla natura
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Gli alberi della pandemia
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Finirà la pandemia Covid-19, ma non accadrà né presto, né senza aver segnato duramente la vita di quasi tutti gli esseri umani. Qualcuno se ne sarà andato, qualcuno avrà visto i propri cari andarsene, tutti noi avremo vissuto una situazione senza precedenti, unica nella storia recente dell'umanità. Si tratta di uno di quegli eventi di cui si leggerà nei libri di storia tra molti decenni, se non nei secoli a venire, sia per l'evento in sé, sia per come cambierà il nostro modo di vivere, dalla scala locale e quella globale. Forse, soprattutto per questo secondo aspetto.
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| Immagine tratta da www.who.int |
Per non dimenticare quanto sta accadendo, ma anche per trasformare il ricordo in un segno di speranza e in un gesto positivo verso il pianeta, potremmo fare qualcosa che lasci una traccia di questo tempo davvero eccezionale. Uno dei gesti adatti a questo scopo potrebbe essere piantare un albero della pandemia.
Perché proprio un albero - Perché è una forma di vita, perché lascerà la testimonianza vivente per decenni o secoli, perché contribuirà a migliorare l'ecosistema pianeta e ad aiutare nella lotta al cambiamento climatico, azione che rimane una delle più grandi sfide dell'umanità.
Quale tipo di albero - Un albero che possa avere sia la funzione di testimone della pandemia, sia una utilità diretta per chi lo pianta o per la comunità in cui vive. Potrebbe trattarsi di un albero da frutto, di un albero ornamentale, di un'essenza forestale o di un esemplare arboreo con qualsiasi altra funzione. Per sceglierlo, se non abbiamo idee, è consigliabile rivolgersi a qualche esperto locale che sappia indicarci una o più specie di sicuro successo e che non costituiscano una minaccia per l'ecosistema locale. In particolare, non dovrà trattarsi di una specie che potrebbe comportarsi da aliena invasiva, cioè da pianta originaria di altre zone del pianeta che invade gli ecosistemi sottraendo spazio alle specie native.
Dove piantare l'albero - Questa è una scelta molto importante. L'albero, infatti, dovrà trovarsi in un luogo che si ritiene possa consentirne la vista in futuro, così da svolgere il ruolo di testimone della pandemia. Non solo: dovrà trovarsi in un contesto appropriato dal punto di vista naturalistico e ecologico. Alberi da frutto e ornamentali potrebbero andare in giardini, orti, cortili e altri spazi di paesi e città, incluse aree in abbandono o degrado. Una pianta forestale potrebbe essere piantata lungo un sentiero di boschi e foreste. In tal caso, dovrà appartenere alla flora arborea locale. Di particolare importanza potrà essere piantare l'albero in asili nido e scuole. In tutti i casi, dovremo assicurarci che siano rispettate le leggi locali e di avere titolo o permesso, se necessario, per piantare l'albero proprio in quel luogo.
Dove trovare l'albero - Dipende da dove viviamo. Potremmo comprarlo da un vivaista che pratica agricoltura sostenibile, farlo nascere da un seme, riceverlo da una banca del germoplasma o da un orto botanico (potrebbe essere il caso delle scuole) e così via. In nessun caso dovremo prelevare l'albero in natura danneggiando un ecosistema.
Dove trovare l'albero - Dipende da dove viviamo. Potremmo comprarlo da un vivaista che pratica agricoltura sostenibile, farlo nascere da un seme, riceverlo da una banca del germoplasma o da un orto botanico (potrebbe essere il caso delle scuole) e così via. In nessun caso dovremo prelevare l'albero in natura danneggiando un ecosistema.
Quando piantare - In un momento compatibile con il buon esisto tecnico della piantagione (o della semina, che non è esclusa) durante la pandemia o alla sua fine. Soprattutto, in un giorno in cui potremo eseguire la piantagione nel pieno rispetto delle norme sanitarie e di pubblica sicurezza.
Come piantare - Seguendo le buone regole dell'arboricoltura, i consigli di esperti locali o di manuali che forniscono indicazioni specifiche sulle modalità di piantagione di quella specie. In generale, si tratterà di scavare una buca abbastanza grande da ospitare le radici dell'albero, mettere un po' di fertilizzante organico sul fondo della buca, ricoprirlo con un po' di terra, quindi posizionare la pianta e ricoprire la buca. Un tutore, cioè un sostegno, potrebbe accompagnare l'albero nei primi mesi o anni di vita. Periodiche somministrazioni di acqua ne garantiranno l'attecchimento.
Come segnalarlo - Possiamo lasciare spazio alla fantasia, ma un cartellino o una targa che specifichi il motivo della piantagione, la data della messa a dimora e chi lo abbia piantato potrebbe essere molto utile. Condividere sui social network l'azione potrà favorirne la diffusione su scala globale. Potremmo usare l'hashtag #pandemictree.
Cosa fare subito - Prima di tutto rispettare le regole stabilite dalle autorità locali, quali quelle di lockdown. Poi condividere questa idea fino a renderla patrimonio di tutti. Infine, cominciare a progettare la nostra piantagione.
Cosa fare subito - Prima di tutto rispettare le regole stabilite dalle autorità locali, quali quelle di lockdown. Poi condividere questa idea fino a renderla patrimonio di tutti. Infine, cominciare a progettare la nostra piantagione.
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