Mare fuori, dentro a un'aula

Non c'è cosa più difficile da definire di ciò che faccio professionalmente e non c'è cosa più semplice da qualificare di ciò che sono professionalmente: un privilegiato.

No, non c'è alcun posto sicuro, ma l'eterno precariato di chi costruisce oggi l'incarico di domani e quasi non si capacita per quanto interesse ci sia per ciò che fa. Non c'è nemmeno la ricchezza, tantomeno la gloria. C'è il contatto con un'umanità quanto mai vasta e varia.

A più riprese e con maggiore intensità nel post - covid, sono stato catapultato a fare scuola a chi nella scuola non rimane. Sì, io entro nelle aule che ospitano, spesso loro malgrado, "i ragazzi drop out", quelli che non riescono a seguire un percorso scolastico nell'età dell'obbligo formativo e che, quasi come se questo avesse senso solo per loro, vengono avviati ad un percorso professionalizzante. Saranno addetti di cucina, falegnami, parrucchieri, muratori, ma il sistema non li vuole solo capaci di fare un lavoro, bensì muniti di una cultura generale minima. Ecco, io in quei contesti sono "il prof di scienze". Ho un programma che dovrei seguire, cosa che cerco di fare, e di fronte a me ragazzi, talora ragazze, che tutto vogliono tranne sapere ciò che dovrei insegnargli. In fondo, è la mia fortuna: è grazie a questo che riesco a fare scuola a loro insaputa coltivando, tirando calci a un pallone, costruendo oggetti, guardando un film, andando al supermercato o all'orto botanico e, perché no, sedendomi con loro al bar. In definitiva, il contenuto scientifico è ovunque e la scienza è un metodo per guardare e studiare il mondo. Non serve amarlo, ma capire che può aiutarci nel quotidiano Non sono uno scienziato e non c'è motivo per cui dovrebbero diventarlo quei ragazzi.

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un post su Facebook in cui qualcuno, non ricordo chi, diceva che avrebbe voluto essere l'insegnante di Samantha Cristoforetti, l'astronauta. Ecco, mentre lo leggevo ho pensato che i miei incarichi di "prof di scienze per ragazzi drop out" sono un grande privilegio. Non dubito del fatto che Astrosamantha abbia incontrato insegnanti fantastici e bravissimi, ma dubito fortemente che senza di loro avrebbe avuto una vita diversa. Lei non è mai stata una ragazza da salvare, casomai è la ragazza che ci salverà. Lo fa semplicemente ispirandoci. 

La vera sfida è aiutare a salvarsi gli adolescenti che incontro nelle aule dei già citati corsi "per drop out". Sono ben convinto che scienze non li aiuterà, ma nutro la speranza che in quelle ore possano trovare un appiglio, l'idea che il sapere non sia qualcosa che ti misura di fronte al mondo, ma che ti colloca in quel mondo. Un mondo non facile che li ha già respinti prendendo in carico chi ce la fa e confinando loro in gruppi nei quali si concentrano una o due decine di quegli studenti che, spesso, averne due in classe è considerato un disastro. Eccoli lì: gli sfigati buttati fuori dal sistema scolastico che devono trovare un modo per primeggiare tra apparenti meno che mediocri. Dico apparenti perché, quelle volte che riesco ad agganciarne uno, mi rendo conto delle loro enormi lacune, ma anche di potenzialità che sono rimaste inespresse. E' come se a loro mancasse la formula matematica (vi assicuro che spesso non hanno alcuna base) per rendere concreto un fenomeno fisico che sanno tranquillamente maneggiare. Hanno visione di gioco, ma sono senza le scarpe giuste per il campo in cui si svolge la gara. Spesso hanno, però, esperienze di vita, quasi sempre tutt'altro che facili, che ne fanno dei Matusalemme al confronto sia dei coetanei sia dei docenti.

Le ore di lezione con loro non sono facili, tutt'altro. Possono, anzi, diventare un vero inferno: lunghe mezz'ore in cui ti chiedi chi te lo ha fatto fare di accettare quell'incarico. Così, almeno, è stato nelle mie prime esperienze. Be', forse dovrei definirle le mie prima "inesperienze". Già, perché non c'è alcun passato di formatore o insegnante che ti venga facilmente incontro quando hai di fronte 15 ragazzi, di cui 10 oppositivi, 5 che sembrano persi al mondo e qualcuno di loro ben indirizzato verso quelle disavventure che ti portano davanti a un giudice. Ah, non dimentichiamo che alcuni non parlano l'italiano in modo adeguato all'età e alle richieste del corso e che, non poche volte, vengono da contesti culturali lontani da quello del "prof" e di molti compagni di corso. Il mix è potenzialmente esplosivo e, in effetti, capita di veder brillare i fuochi d'artificio.

Ho sempre posto l'attenzione sul lato umano della vicenda, ma da qualche tempo è arrivata una serie TV a farmi riflettere, a darmi uno sguardo diverso. Si tratta di "Mare fuori", una serie che racconta le vicende di ragazzi e ragazze che finiscono nell'IPM (Istituto Penale per Minori, il carcere minorile) di Napoli. Potrebbe essere uno qualsiasi, ma i destini di chi vive nella città della sirena Partenope si svolgono attorno a temi e vicende che aggiungono un ineguagliabile fascino alla narrazione. Al netto del costrutto televisivo, degli stratagemmi comunicativi, delle forzature rispetto alla realtà, ciò che mi colpisce è il racconto delle vicende che hanno portato in carcere i vari protagonisti. Mi piace e mi affascina perché, in definitiva, le storie, la stessa fisionomia e la personalità dei vari Carmine, Chiattillo, Edoardo, Viola, Pino, Naditza, Ciro non sono diverse da quelli dei "miei" studenti "drop out". Sono solo ragazzi e ragazze normali che la vita pone in situazioni che, spesso, non ti lasciano scelta o, almeno, nascondono la migliore laddove nasce il conflitto con l'educazione che ricevi, la famiglia, gli amici e tutto ciò che è il tuo mondo. 

"So’ crisciut’ mmiez’ ‘a via, ‘o sacc’ chell’ ch’ m’aspetta. Nu guaglion’ do sistema, mo’ vuo’ sistema’ ‘utt’ cos’. Mmiezz’ ‘a via e’ megl’ ‘a tene’ fierr’ o accattar’ ‘e ros’. Patm’ sta carcerat’, so ll’omm’ ‘e cas’" dice la canzone della sigla

"Sono cresciuto in mezzo alla strada, e so bene quello che mi aspetta: un ragazzo nato dal sistema, che vuole sistemare tutte le cose; che vive in mezzo alla strada e ha la pistola in mano. Mio padre è in galera ed io sono l’uomo di casa", tradotto per chi, come me, si incanta ad ascoltare il napoletano senza capirlo.

Vivere in mezzo alla strada con la pistola in mano è ciò che non capita ai ragazzi con cui lavoro. Già, perché ho omesso di dire che faccio "il prof" in Toscana, prevalentemente tra le province di Lucca e Pisa. Non mancano né le strade né le pistole o i coltelli e qualcuno dei ragazzi che incontro potrebbe averne fatto vario uso. Non mancano nemmeno la droga, la bassezza dell'umanità, la tentazione e la necessità di delinquere, il disagio, l'emarginazione o il pregiudizio, ma parliamo di zone dove, fortunatamente, il vivere civile è quieto e ispirato alla legalità. Tuttavia, c'è un rischio che incombe dal quale i corsi di cui sto parlando tengono distanti chi li segue. Puoi essere svogliato, irriverente, mancante di rispetto, minaccioso o pericoloso, ma in quelle ore te ne stai lontano da ciò che potrebbe risucchiarti in un vortice che in due minuti ti rovina la vita per sempre, incontri adulti pieni di difetti, ma che ti propongono un modello di vita in cui la prosocialità è una condizione presente. Può essere sottotraccia, mal interpretata o gestita, ma c'è. Alla fine, "quello stronzo del Prof" dimostra che c'è una via alternativa ai modelli che alimentano il suddetto vortice. C'è, in più, qualcuno che dissemina il tuo tempo di appigli culturali, di buoni motivi per non aderire ai modelli negativi o per farlo più per gioco che per convinzione, spesso munito delle competenze che ti fanno deviare prima che sia troppo tardi. 

Ecco, io guardo quei ragazzi e quelle ragazze e mi chiedo cosa ne sarebbe in altri contesti, in luoghi in cui il crimine è un modello positivo o, almeno, un'apparente opportunità per trovare un tuo posto nel mondo, nella società. O, ancora, dove del crimine potresti essere vittima da un momento all'altro. Esserne vittima per diventarne il protagonista, come accade a molti dei ragazzi di Mare Fuori che, a ben vedere, non avevano la stoffa del criminale, ma si sono trovati a indossarne gli abiti. Guardo i ragazzi con cui lavoro e capisco che sanno o possono capire da soli come salvarsi, ma hanno bisogno di incontri fortunati per farlo e in questo i corsi in cui lavoro sono un tempo giusto, un tempo della vita in cui possono aggrapparsi agli appigli offerti dagli adulti coinvolti dal sistema della formazione. 

Spesso guardo quei ragazzi e osservo come loro guardano noi adulti e questo mi dà una chiave di lettura su di me, eternamente in cerca di un equilibrio tra il rispetto della forma imposta dal sistema regionale della formazione, un mondo in cui l'identità digitale vale di più di una pacca sulla spalla data al momento giusto o di una parola di conforto, e quel poter essere generatore di appigli per chi potrebbe scivolare e cadere. E' una responsabilità enorme e, al tempo stesso, il privilegio di cui parlavo in apertura. Responsabilità e privilegio che mi convincono a affrontare argomenti trattabili con metafore che parlano della vita, ad usare la Legge di Liebig per spiegare il ruolo del singolo nei gruppi e nella società, a trattare con sufficienza Darwin e Linneo per spiegare che le differenze tra umani sono risorsa e che le razze non esistono, che il sapere può arrivare da un videogioco e che un video pornografico banalizza la più grande delle invenzione del mondo biologico: il sesso.

Ecco, chiusi in un'aula, camminando in un parco, su di una terrazza o tra i corridoi di un supermercato provo a far capire ai ragazzi che incontro che "ce sta o' mar' for'", anche quando sembra di stare dietro le sbarre. Potrebbe non servire a niente, ma intanto salvo me stesso per poterci essere per gli altri. E tanto mi basta.




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