Scienziato o tecnico di laboratorio? Il bambino al di là dello stereotipo dello sguardo adulto

Tornare bambino

Il mio più grande desiderio è quello di poter tornare ad essere bambino per qualche ora e poi tornare nuovamente alla vita adulta consapevole di quanto ho vissuto e provato in quel breve tempo. Sarebbe, nelle mie intenzioni, un modo per ridefinire la mia idea di bambino cercando di superare gli stereotipi che agiscono in me e, credo, in tutti. Sì, perché la cosa strana è che ognuno di noi è stato bambino o bambina, ma è ben difficile ricordare cosa significhi vivere quella condizione. Del resto, che gli adulti abbiano difficoltà a comprendere chi sia un bambino o una bambina è una condizione che si propone ai nostri occhi ogni giorno e, forse, capace di scaturire quella tendenza all'adultizzazione dell'infanzia che spesso si traduce in un abbigliamento adulto miniaturizzato col quale vestiamo bambini e bambine. A questi fenomeni di adultizzazione dell'aspetto, nella frenesia dei nostri tempi, si affianca l'azione adulta in sostituzione di quella infantile frutto del mancato riconoscimento delle abilità bambine. Così, anziché spingere i bambini nella zona di apprendimento prossimale teorizzata da Vygotskij, per esempio chiedendo loro di imparare ad allacciare le proprie scarpe, abbiamo trasformato questa sollecitazione in un compito per specialisti, mentre la sempre più ristretta galassia familiare si impegna nel sostituirsi ai bambini stessi ("ti lego le scarpe, altrimenti facciamo tardi") o nel trovare soluzioni di evitamento (le scarpe con allacciatura a strappo).

Il bambino scienziato - La bambina scienziata

Da un paio di anni mi viene chiesto di svolgere interventi formativi sul tema del bambino scienziato. Ricordo ancora quando la Cooperativa Koiné, con la quale ho la fortuna di collaborare, mi ha chiesto di intervenire su questo tema, poi diventato oggetto di vari interventi formativi: mi è parso subito ostico e scivoloso, ma mi ha appassionato. Ho fatto, poi, la scelta, probabilmente criticabile, di non andare a cercare ciò che è già stato detto, scritto o teorizzato su questo tema, ma di interrogarmi partendo dalla definizione di scienza. Così, per me il bambino e la bambina scienziati sono bambini in cui è rintracciabile un agire coerente con la definizione di scienza, niente di più e niente di meno. Oltre a questo, mi sono stampato un grafico che riassume la teoria delle intelligenze multiple di Howard Gardner. Quest'ultimo mi serve ogni volta che mi faccio prendere un po' troppo da ciò che mi piace, cioè la scienza, e rischio di vedere nei bambini solo una modalità di agire, cioè quella scientifica. Il bambino e la bambina scienziati coesistono con altri bambini che abitano lo stesso corpo: il musicista, il matematico, lo sportivo e così via.

Cercare la definizione di scienza nell'agire bambino

Mi sono innamorato fin dalla prima lettura del saggio di Edoardo Boncinelli dal titolo I sette ingredienti della scienza ed è qui che possiamo rintracciare la definizione di scienza che, purtroppo, in pochi ci leggono prima, durante o dopo averci insegnato scienze. E' in quella definizione, che si trova trascritta al termine di questo articolo, che risulta facile rintracciare l'agire scientifico spontaneo nei bambini e nelle bambine fin dalla più tenera età.


I bambini che si accalcano in gruppo attorno a un qualcosa di nuova scoperta propongono l'idea di scienza come impresa collettiva. Come ripeto spesso nelle mie docenze, l'idea un po' romantica e cinematografica dello scienziato che lavora da solo in un laboratorio, talora clandestino, è del tutto fuorviante. Da sempre e in quest'epoca in particolare, lo scienziato o la scienziata non possono agire da soli, ma hanno necessità di farlo in rete, di sapere cosa qualcun altro ha scoperto, di avere il supporto di chi già sa o di chi sa in merito a ciò che serve per progredire in un certo campo del sapere scientifico. 

La scienza è, poi, un'impresa progressiva. Le conoscenze si stratificano e ognuna fa da trampolino alle altre. Ogni conoscenza acquisita non va perduta, ma sostiene quelle future. E così è per i bambini che, se oggi si meravigliano per una scoperta, domani la pongono a far da base per le successive, così come se un'azione a tre anni serve per scoprire il funzionamento del proprio corpo, a nove permette di scoprire qualcosa del mondo. Se a tre anni si sperimenta, proprio nel senso di esperire, di vivere, una circostanza che genera scoperta, a nove o a quindici si formalizza quella scoperta. Lo scivolare col proprio corpo o far scivolare oggetti lungo lo scivolo onnipresente nei parchi cittadini non è solo un gioco, ma una sperimentazione in corso che da adolescenti troverà la sua concettualizzazione nel moto di un grave lungo il piano inclinato, nei concetti di accelerazione, velocità e attrito.

La scienza si interessa agli aspetti riproducibili dei fenomeni naturali. Quale miglior specialista esiste nella ripetizione, nella riproduzione, nella ricerca dei fatti ripetibili e riproducibili del bambino e della bambina. Ad un adulto impreparato sembra quasi impossibile la tenacia con cui tornano a ripetere un gesto, un'azione che genera un risultato tangibile: un suono, un movimento, qualsiasi cosa. I salti ripetuti nella pozzanghera come il tornare a battere un bastoncino su diverse superfici generando suoni diversi, ma ciascuno più volte. E quanta attrazione spontanea per i fenomeni naturali: il volo di un insetto, un frutto marcescente, il brillare di una pietra.

Gli scienziati comunicano. Modernamente lo fanno pubblicando i propri lavori, partecipando a convegni e conferenze. Ed ecco che i bambini quasi mai riescono a tacere delle proprie scoperte e, invece, provano la voglia di comunicarle. Lo fanno con altri bambini, con gli adulti che operano professionalmente con loro, così come con i familiari e gli amici. E questo comunicare affina i linguaggi, va in cerca di tanto di modalità espressive quanto di vocaboli, esattamente come accade ad uno scienziato che affina un gergo di settore, talora conia nuove espressioni o parole.

Gli scienziati e chi dal punto di vista tecnologico utilizza le conoscenze scientifiche fanno previsioni fondate e progettano e mettono in atto macchine funzionanti, siano esse concettuali o materiali. E questo fanno i bambini quando si muovono in un ambiente nuovo, quando cercano di unire due oggetti con un terzo, quando provano a far stare in equilibrio un oggetto o ne accatastano più d'uno. Prevedono e verificano, poi affinano la capacità di assemblare sistemi più complessi o pensieri via via più articolati, esattamente come un pool di scienziati elabora una teoria che fa nascere la fisica quantistica. O come un team ingegneristico che progetta e costruisce un edificio o un ponte.

Insomma, tutto ciò che contribuisce a definire la scienza i bambini e le bambine lo fanno spontaneamente. Del resto, come dice Neil Degrasse Tyson, astrofisico e divulgatore scientifico americano, uno scienziato è un bambino che non è mai cresciuto.

Le mie stoviglie non fanno di me un cuoco

Ho una cucina mediamente attrezzata. Ci sono forno e fornello, frigorifero, bollitore, tostapane, stoviglie varie. Ho pentole di varia misura. Idem per le padelle. Ho delle teglie. Ho taglieri, coltelli e altre cose che uso con una certa perizia. Eppure, nessuna delle persone che mi conoscono pensa di me che sia un cuoco, anzi. Negli ultimi anni, per vicissitudini personali, mi sono trovato sempre più spesso a cucinare e, come possono testimoniare i miei figli, sono molto migliorato. Ho imparato a fare il ragù di carne, per esempio. Nonostante questi miei potenti progressi, nessuno pensa di me che io sia diventato un cuoco. Personalmente, invece, ho affinato alcune competenze di fisica e chimica. Ho imparato ad usare l'acido acetico dell'aceto per togliere le incrostazioni di calcare dal bollitore. Ho affinato una mia tecnica per massimizzare l'efficacia degli sgrassatori lavorando sui tempi di azione. Ho scoperto che gli antimuffa a base di cloro, grazie al loro potere sbiancante, possono servire per far tornare come nuovi i mestoli di legno che talora virano verso colori scuri. Ho scoperto anche che, se questi strumenti non si asciugano velocemente, le muffe sono rapide nel colonizzarli, esattamente come accade ai formaggi se rimangono troppo a lungo in frigorifero, magari chiusi in un contenitore o avvolti in una pellicola. La mia scienza in cucina ha fatto passi da gigante, ma continuo a non essere definito un cuoco. Qualche persona, invece, mi dice che a sentirmi parlare di questi aspetti sembro uno scienziato. Vorrei obiettare che lo sono o, meglio, che il mio agire quotidiano è scientifico. E lo faccio spesso.

Spero di esser stato convincente sul fatto che non è la dotazione tecnologica della mia cucina a fare di me un cuoco. Anzi, provo a dire che un cuoco riesce a cucinare e, soprattutto, a farlo meglio di me anche in una cucina male attrezzata o con ingredienti limitati in quantità e qualità. Del resto, di molti cuochi e cuoche i familiari dicono che fin da piccoli erano interessati al cibo, a prepararlo, cucinarlo, anche quando avevano ben poco a disposizione e pure qualche limite posto dagli adulti. Il loro essere cuochi non è frutto di dotazioni tecnologiche, ma di un agire per loro quasi inevitabile.

Prescindere dallo stereotipo adulto: il bambino non è un tecnico di laboratorio

Se il ragionamento fin qui condotto funziona, posso finalmente arrivare al mio affondo: gran parte delle volte che introduco l'argomento del bambino e della bambina scienziati, i miei interlocutori e interlocutrici iniziano a parlare di esperimenti, di fagioli cresciuti nell'ovatta, di lenti, macchine fotografiche e microscopi. Se li lascio proseguire, e spesso lo faccio prima di entrare nel merito dell'argomento, quello che si materializza nei racconti e nelle proposte non è un bambino scienziato, ma un tecnico di laboratorio.

Immagine liberamente tratta da https://www.jobsanita.it/
Provo a descriverlo in ambito educativo e scolastico. Ha spazi in cui sono disponibili attrezzature dei tipi più diversi. Quando inizia a leggere ha a disposizione dei manuali e delle istruzioni. Ha almeno un adulto di riferimento in qualche misura specializzato che lo guida a condurre esperimenti suggeriti, guidati o semplicemente proposti come unica possibilità del momento. Ottiene risultati brillanti sul piano del prodotto: il seme del fagiolo germina, l'interno del bulbo si rivela al microscopio, il tappo di sughero galleggia. Esattamente come accade ai miei colleghi agronomi che fanno analisi chimico-fisiche del suolo nel loro laboratorio: seguono una metodologia, hanno strumenti muniti di manuali e istruzioni operative, emettono un report di analisi standard. E lo fanno con camice bianco e occhiale protettivo. Un compito e un ruolo importante per il quale è necessaria una profonda conoscenza tecnico - scientifica, ma niente che aiuti a definirli scienziati. Esattamente come il cuoco e la cuoca: il loro è un laboratorio in cui le reazioni chimiche e i fenomeni fisici sono il tramite della loro arte, ma nessuno li definisce scienziati.

E allora? Allora è giunto il momento di togliersi di dosso uno stereotipo che vive nella testa degli adulti: lo scienziato ha bisogno di attrezzature e strumenti, soprattutto nella scienza moderna, ma a renderlo scienziato sono il suo agire e il suo pensiero, non quegli strumenti. Certamente la fisica quantistica e la biologia evoluzionistica non sarebbero tali senza le attuali dotazioni tecnologiche, ma tanto le intuizioni della prima quanto quelle della seconda sono frutto di una modalità di pensiero, di un agire in senso lato, di uno sguardo e divergente originale sul mondo. Il famoso paradosso del gatto di Schrödinger  non è frutto della disponibilità di un gatto e di una scatola, ma di un pensiero che fa di Schrödinger uno dei più grandi scienziati del novecento, nonché un Premio Nobel. Alla stessa stregua, non è una lente a evidenziare in una bambina l'agire scientifico, ma la sua curiosità di fronte al brulicare di animaletti quando si solleva un oggetto rimasto a lungo appoggiato sul terreno, la sua innata tendenza a fare qualcosa, a chiamare gli altri, a raccontare cosa ha scoperto, a disturbare intenzionalmente quegli animali per vedere cosa fanno.

Proprio qualche giorno fa un diciottenne di cui sono "il prof di scienze" mi ha detto: "io da bambino davo fuoco alle formiche... credo che lo facciano tutti da bambini". Ecco, al di là del tratto crudele che emerge allo sguardo di molti adulti, Kevin (nome di fantasia) ha condotto un esperimento scientifico che si contraddistingue in primis per il pensiero e l'agire, poi per gli strumenti necessari. Alcol e accendino aiutano molto, ma carta e fiammifero funzionano ugualmente. Un po' di paglia o di erba secca anche. "Le formiche scappano, ma non sono abbastanza veloci, e il loro corpo si muove in modo strano mentre bruciano": sì, i bambini sanno fare cose terribili al pari degli scienziati ed è per questo che, loro come la comunità scientifica, hanno bisogno di uno sfondo etico. A questo, anche a questo, servono a fianco adulti preparati.

Quindi? Una breve semplice conclusione

Quindi, nel tentativo di riconoscere e sostenere l'agire scientifico dei bambini, noi adulti dobbiamo prima di tutto liberarci dei nostri stereotipi, tornare alla definizione di scienza e ripartire da lì. Gli ambienti e le loro dotazioni tecnologiche contano, ma ancor di più vale il nostro pensiero pedagogico, soprattutto quando ci rapportiamo con la prima infanzia. Dobbiamo ripartire dai bambini e dalle bambine per evitare che il loro agire scientifico non sia reale, ma un mimo del nostro stereotipo. Avete mai visto un bambino che osserva qualcosa con una lente ormai opacizzata? Io sì. In quel momento non osserva altro che l'adulto in cerca di approvazione, perché dalla lente non si vede nulla. E' quando ripone la lente difettosa e si avvicina al buchetto da cui escono le formiche e prova a bloccarle con un sasso che è un giovane scienziato al lavoro. Scienziato che coesiste con molte altre figure e intelligenze.

James Webb Telescope
Ciò non significa che non abbia senso mettere a disposizione di bambine e bambini strumenti utili all'indagine scientifica, ma che questi non devono orientare e dominare la loro ricerca, bensì sostenerla. Quegli strumenti non dobbiamo usarli perché li abbiamo comprati, ma comprarli o costruirli perché in un certo momento possono servire. In questo dobbiamo anche ricordare che i telescopi spaziali permettono di osservare zone del cosmo altrimenti inosservabili, ma che ancora oggi molte scoperte sono fatte con telescopi a terra, talora da semplici astronomi amatoriali muniti di strumenti tecnologicamente ben meno evoluti dei primi. Così, un rametto può far scoprire più cose sulle formiche di un potente microscopio disponibile nel laboratorio di scienze. Di pari passo, quel rametto lascia che possano manifestarsi il bambino o la bambina scienziati senza imbrigliarli nel ruolo di tecnico di laboratorio.

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Annotazione a margine: cosa è la scienza?

Un’impresa collettiva e progressiva volta a cogliere gli aspetti riproducibili di un numero sempre maggiore di fenomeni naturali e a comunicarli attraverso lo spazio e il tempo in forma sinottica e internamente non contraddittoria, in modo da porre chiunque in condizione di fare previsioni fondate e di progettare e mettere in atto “macchine” funzionanti, siano esse di natura materiale o mentale.

Edoardo Boncinelli in “I sette ingredienti della scienza”







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