Un'idea di consapevolezza alimentare

Post liberamente tratto da "Orticoltura (eroica) urbana", libro del curatore del blog disponibile su www.mdseditore.it.


Scelte e consapevolezza

Cerco tra vocabolari e dizionari la definizione di consapevolezza e più lo faccio, più mi sembrano inadatti i risultati della ricerca. Poiché vorrei essere certo che chi legge comprenda ciò che dico, spendo qualche riga a spiegare cosa intendo per consapevolezza.

La consapevolezza è fatta di almeno due cose: conoscenza e capacità di porsi domande prima di fare delle scelte. Non posso maturare consapevolezza se non conosco l'argomento su cui divenire consapevole. Conoscere l'argomento, però, non mi rende consapevole. Al massimo mi dà gli strumenti per capirlo. Divengo consapevole quando, prima di compiere un gesto, mi pongo delle domande, rifletto e giungo a una scelta. Spesso, forse sempre, sono domande particolari, domande che, più che i saperi, tirano in ballo dei valori intesi nell'accezione morale del termine. Domande e valori si modificano in funzione del contesto e delle condizioni in cui faccio una scelta.

Provo a chiarire facendo un esempio.

Mia figlia Luna ha la fortuna di esser nata a fine luglio e il suo compleanno è l'occasione per organizzare una piccola festa in giardino*. Invitiamo i suo amici, soprattutto compagni e compagne di scuola, qualche amico di famiglia, i vicini (non tutti!) e qualche parente.

Fin da ragazzino ho avuto una certa propensione per i temi del rispetto dell'ambiente ed è per questo che, e in occasione del compleanno, pur aumentando in modo significativo i costi dell'operazione, posate, bicchieri e piatti sono di materiale compostabile. Fornisco contenitori in cui gettare i rifiuti divisi per categorie (carta, plastica, umido, tutto il resto) e un pennarello indelebile per scrivere il nome sui bicchieri che, intenzionalmente, sono forniti con una certa parsimonia per indurre a un uso ragionato. A fine serata, gli invitati hanno prodotto una certa quantità di rifiuti e devi sapere che passo almeno un'ora della notte a selezionare i rifiuti gettati alla rinfusa nei diversi contenitori predisposti per la raccolta differenziata.

I primi anni mi chiedevo perché in molti non riuscissero a rispettare i criteri di differenziazione dei rifiuti, poi mi sono dato una risposta. La risposta è che gettare un rifiuto nel cestino per molti è un gesto non consapevole. Non lo è perché siano “cattivi” o perché non sappiano nulla di problemi ambientali, lo è perché per lo più veniamo addestrati a fare delle cose anziché educati a fare delle scelte

Ognuno degli amici e parenti che partecipano alla festa di compleanno di Luna conosce il significato di rifiuto. Ognuno di loro sa che non si butta tutto per terra per evitare di lasciare il giardino sporco. Ognuno di loro sa che esiste la raccolta differenziata. Molti di loro sanno che la raccolta differenziata è la premessa per ridurre l'impatto del nostro vivere sul pianeta e per poter recuperare dei materiali per produrre nuovi oggetti, quindi per risparmiare le risorse limitate che ci offre il pianeta. Molti di loro comprendono il perché del pennarello indelebile: se ognuno scrive il nome sul bicchiere può riusarlo più volte, se non per l'intera serata, evitando di consumarne trecento per una cinquantina di persone. In definitiva tutti sono persone informate sui fatti. Aggiungo che quasi tutti sanno due altre cose: che io sono sensibile a questi aspetti e che spesso all'attenta divisione dei rifiuti alla fonte non segue altrettanta attenzione da parte di chi gestisce il servizio di ritiro e gestione dei rifiuti urbani.

Se le persone che passano una serata con me e la mia famiglia, serata che per me è sempre piacevole perché io poi passo un'ora a ri-selezionare i rifiuti?

Perché molti sbagliano la domanda che si pongono quando decidono di buttare i rifiuti. Essi, infatti, si chiedono: «Butto tutto per terra tanto qualcuno pulirà o getto tutto nel cestino per facilitare il conferimento dei rifiuti nel cassonetto più vicino?». Sono un uomo fortunato e tutti rispondono gettando i rifiuti nel cestino. La raccolta differenziata, però, fallisce completamente. A volte, scherzando, lo faccio notare e qualcuno mi dice che «tanto te dividi e poi loro rimettono tutto insieme». Io rispondo che se non dividiamo i rifiuti per bene diamo a loro un alibi perfetto per rimescolare tutto e rendere la massa dei rifiuti indifferenziata e non riciclabile.

Se dico che la domanda è sbagliata vuol dire che potrebbero esisterne di migliori. Provo ad elencarne alcune.

Cosa potrebbe diventare lo scarto di cibo che sto buttando? Potrebbe essere ancora utile? È realmente uno scarto?

Come si potrebbe riutilizzare il bicchiere che sto buttando o il materiale che lo compone?

Cosa potrebbe fare Emilio con la carta che sto gettando? Se non lui, chi potrebbe trarne un'utilità?

Che relazione c'è tra il quaderno in carta riciclata che compro a mio figlio e il piattino che ho in mano?

Come potranno influenzare il domani di mio figlio le posate che getto nel cestino?

Potrei continuare, ma mi fermo perché non è di rifiuti e di raccolta differenziata che voglio parlare, bensì di consapevolezza.

Se tutto ciò che sanno i miei graditissimi ospiti (loro da oggi mi vorranno meno bene, però io continuerò a invitarli perché sono persone piacevoli e in gamba) in merito ai rifiuti generasse una scelta passando attraverso queste (e altre) domande, la loro scelta muterebbe. Probabilmente cambierebbe anche qualche loro abitudine d'acquisto orientandosi verso quei prodotti che generano meno rifiuti. Sì, perché certe domande possiamo porcele quando, di fronte a uno scaffale, dobbiamo scegliere quale prodotto acquistare.

Ecco, per me la consapevolezza è questo: saper compiere delle scelte sulla base di domande che investono il piano morale e che necessitano conoscenza e informazioni senza che la conoscenza si trasformi in procedura operativa, cioè in un gesto che si esegue meccanicamente.

C'è una bella differenza tra fare la raccolta differenziata dei rifiuti perché il servizio di raccolta è organizzato così (una cosa sulla quale sono informato) e farla perché questo assicura un futuro migliore alla nostra comunità, magari aggiungendo scelte d'acquisto che la favoriscono o che favoriscono la riduzione dei rifiuti prodotti. Questa differenza io la chiamo CONSAPEVOLEZZA.


Consapevolezza alimentare

Se mi hai seguito fin qui, posso provare ad andare oltre parlando di un tipo particolare di consapevolezza, quella alimentare.

La consapevolezza alimentare scaturisce dalle domande che posso associare alle scelte che faccio in campo alimentare.

Ognuno di noi compie delle scelte che riguardano sia la propria persona, sia gli altri. In una famiglia riguardano i figli, il coniuge, i fratelli, i genitori, gli zii, ecc. In un'azienda che fa ristorazione, magari collettiva, le scelte ricadono su un numero grande, a volte molto grande, di persone. Nell'amministrazione di un servizio pubblico, penso alle mense ospedaliere o scolastiche, la ricaduta è su migliaia di persone, spesso con esigenze particolari, come bambini, anziani, malati. Se produciamo cibo che va sul mercato, magari nella GDO**, certe scelte, come quella della farina con cui si fanno la pasta o i biscotti, possono ricadere su centinaia di migliaia di persone.

Voglio soffermarmi su un aspetto: la ricaduta di certe scelte non è solo a valle, cioè non riguarda solo chi mangerà certi alimenti, bensì anche a monte.

Sul fatto che le ricadute siano a valle non è facile avere dubbi: se metto in tavola un pane salato o insipido, se do uno yogurt biologico oppure no, se friggo in un olio extravergine di oliva e in un olio di semi tra i più scadenti ed economici, chi mangerà subirà le conseguenze della mia scelta. Non ha molte alternative sul momento. In alcuni casi potrà scegliere. Cosa mangiano i miei figli a casa sostanzialmente dipende dalle mie scelte. Cosa mangiano alla mensa scolastica dipende esclusivamente da un rapporto contrattuale tra l'amministrazione comunale e il gestore della mensa. Quale frutta secca e di quale provenienza sia lo decide il responsabile acquisti del mio supermercato di fiducia, soprattutto se la mia pigrizia mi appiattisce sulla frequentazione di quel solo esercizio commerciale.

In questo momento, però, preferisco concentrarmi su come ci siano ricadute a monte delle mie scelte alimentari. Lo faccio facendo arrabbiare mia moglie*** che, quando mi prepara la lista della spesa, scrive voci estremamente generiche come “mele” o “peperoni”. Spesso scrive con un certo automatismo e sulla base di cosa vorrà cucinare nei giorni seguenti. Così i “fagiolini” capitano indistintamente a luglio e a gennaio. Al mio ritorno spesso assume l'espressione di chi non è soddisfatto e quasi sempre la accompagna con la frase «Non c’è niente da fare: se non me la faccio da sola, la spesa non mi soddisfa».

Se mi metto nei suoi panni, la capisco e le esprimo solidarietà, ma io, mentre faccio la spesa, mi pongo delle domande basate su una mia personale consapevolezza. Sono domande semplici che ho il vantaggio di poter formulare grazie a una laurea in scienze agrarie (a qualcosa dovrà pur servire una laurea!) e alle riflessioni che mi hanno portato ad occuparmi di educazione ambientale e alimentare. Le mie domande sono di questo tenore:

Dove sono prodotti e cosa sono i cibi che compro e i loro ingredienti?

Quanta strada percorrono e come la percorrono?

Se si tratta di ortaggi o frutta fresca, sono di stagione nel luogo in cui vivo o almeno nel mio paese?

Quali ricadute ha la loro produzione sul territorio da cui provengono?

Chi lavora nel processo produttivo e di trasporto?

C'è un prodotto alternativo il cui confezionamento riduce i rifiuti?

Forse ce ne sono altre, ma non c'è alcun bisogno di proseguire l'elenco: ciò che fa arrabbiare chi scrive la lista della spesa è il risultato finale delle scelte scaturite da queste domande, e cioè il fatto che compro cose diverse da quelle che comprerebbe lei che, al contrario, si interroga soprattutto sulle ricadute a valle. Io, invece, per sua sfortuna penso molto a come cambiano gli scenari che stanno a monte.

Così compro i fichi secchi dell'Egeo****, maledicendo il fatto che non ne trovo di toscani, anziché quelli californiani perché preferisco alimentare l'economia di un paese europeo e riduco l'impatto del trasporto del prodotto. Tra le mele scelgo quelle di una varietà bruttina ma che so, o immagino essere, più resistente alle malattie, quindi meno bisognosa di trattamenti antiparassitari, e appartenente a una di quelle varietà che rischiano di scomparire se le nostre scelte di acquisto si omologano al modello "mela di Biancaneve secondo Disney". Nell'acquisto delle uova mi assicuro che si tratti di uova fatte da galline allevate a terra. Di fronte alle brioches preferisco quelle prodotte in Toscana a quelle prodotte in altre regioni italiane. E l'olio, oltre che extravergine d'oliva, lo scelgo almeno italiano, se non toscano. Le arance le preferisco siciliane anziché spagnole perché preferisco alimentare l'economia italiana rispetto a quella spagnola. Compro gli spaghetti di Libera per aiutare il rispetto della legalità laddove ci sono organizzazioni mafiose. Di nuovo, potrei proseguire a lungo.

Le scelte alimentari, dunque, hanno ricadute a monte e a valle: in una qualche zona montana d'Italia qualcuno presidierà il territorio producendo mele biologiche grazie al mio acquisto e i miei figli saranno educati a mangiare (o almeno a vedere nella fruttiera) mele che esprimono un'identità culturale che è la nostra e non quella made in USA. Intanto la mela da agricoltura biologica non avrà i residui di alcuni fitofarmaci utilizzati altrove e i miei figli mangeranno meglio, mentre la comunità in cui vive il produttore delle mele avrà almeno una famiglia con delle opportunità di reddito, quindi ci saranno meno probabilità che qualcuno debba andarsene a vivere altrove. Questo si trasforma in una garanzia di tenuta del tessuto sociale e di tutela del territorio.

Quanto ho appena descritto non è solo una forma (migliorabile) di consapevolezza alimentare, ma qualcosa di più: è quella che io considero la strada per il futuro, e cioè una ridefinizione del destino delle nostre comunità e del nostro territorio legata alle nostre scelte alimentari. Be', in realtà il concetto può essere esteso ben al di là del comparto alimentare, ma l'alimentazione crea un legame stretto e immediato con l'agricoltura, cioè con la più diffusa ed economica forma di gestione del territorio, e con le comunità rurali.

Ho calibrato il ragionamento su di me perché vorrei condividere un principio molto semplice: sono le nostre scelte che influenzano un certo modo di essere del mondo. Se deleghiamo ad altri le nostre scelte alimentari, il nostro paesaggio, il tessuto sociale del nostro paese, la salute dei nostri figli (e la nostra), tutte queste importanti cose saranno indirizzate e determinate da altri. Se scegliamo da soli con un pizzico di consapevolezza daremo un piccolo contributo a un mondo diverso grazie alle ricadute delle nostre scelte sia a valle, sia a monte. Io sono Emilio e sono uno solo, ma se da domani anche una sola persona legge questo post e cambia idea saremo due. Se quella persona parla con una terza persona e anche questa diviene consapevole, saremo in tre. Pian piano diverremo milioni e la forza del cambiamento sarà enorme.


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* Luna ha quasi 18 anni e le feste di compleanno in giardino con i genitori sono un lontano ricordo.

** Grande Distribuzione Organizzata. Per capirsi, i supermercati.

*** All'epoca in cui è stato pubblicato il libro io e Serena eravamo ancora una coppia sposata.

**** Oggi quelli della Calabria, finalmente disponibili.


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