Alcuni giorni fa ho scelto l'immagine che troviamo qui a destra per un intervento formativo svolto per il Centro Studi Bruno Ciari di Empoli (FI). Si è trattato del terzo di tre incontri dedicati alle pratiche di educazione all'aperto per gli operatori dei centri estivi in fascia 3-6. Proprio da quell'immagine è scaturito in me il pensiero che provo a tradurre in questo post.
L'intero ciclo formativo, così come altri svolti in parallelo per le fasce di età superiori e un altro dedicato ai materiali naturali svolto per la fascia 0-6 del mondo educativo, ha trovato una naturale collocazione nel chilometro zero educativo. Tuttavia, in alcuni frangenti mi sono spinto oltre o, quantomeno, ho dilatato il chilometro zero facendo mia l'idea che non si tratti di un parametro geometrico, ma di un territorio delle opportunità educative del quotidiano. E' per questo che ho scelto la fotografia di due bambini sul treno, testimonianza di uno straordinario anno educativo di qualche tempo fa.
Cosa c'entra quella foto col titolo dell'articolo?
Provo a partire da lontano, quando il 4 di marzo tutta l'Italia ha scoperto che quello sarebbe stato l'ultimo giorno di apertura della scuola e dei servizi educativi per un periodo prima determinato in circa due settimane, poi prolungato fino a divenire indefinito grazie (si fa per dire) ad una serie di provvedimenti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Qualcuno nelle regioni settentrionali aveva, a dire il vero, già iniziato la propria avventura in un tempo sospeso in cui l'infanzia e l'educazione paiono, per mio parere, aver visto sospeso ogni diritto e spazio.
Abbiamo dovuto attendere giugno per poter vedere ripartire qualcosa, segnatamente i Centri Estivi da animare nel rispetto di nuove e inedite linee guida governative poi declinate in vario modo a livello regionale. Prima per i bambini dai tre anni in su, poi (finalmente!) anche nella fascia 0-3.
La prima lettura delle linee guida ha determinato molte impressioni, ma non è di questo che intendo parlare, salvo accennare al fatto che la forte spinta verso l'educazione all'aperto ha, di fatto, tolto ogni alibi e timore a chi ancora ne aveva. In particolare, ha tolto significato alla domanda "se un bimbo si fa male quando siamo fuori, come giustifichiamo il fatto che eravamo usciti?". Io quella domanda non l'ho mai capita, visto che educare e insegnare sono cose che si fanno nel mondo, non dentro scatole in muratura, ma ora la risposta esiste anche sul piano giuridico "perché le linee guida per la prevenzione della pandemia Covid-19 dicono di privilegiare l'educazione all'aperto". Chiusa questa parentesi, però, voglio riflettere su cosa è accaduto dal 15 di giugno, data prima della fatidica ripartenza delle azioni educative attraverso i Centri Estivi: di fatto, da quel momento, chi opera nel mondo educativo, inteso a tutto tondo, è divenuto un pioniere.
E chi è un pioniere? Il primo dizionario on-line comparso dopo la mia ricerca nel web dice che si tratta di uno "scopritore o promotore
di nuove possibilità di vita o di attività, collegate specialmente all'insediamento e allo sfruttamento relativo in terre sconosciute". Sì, chiunque abbia progettato e avviato un'esperienza educativa a partire da questa estate è entrato nelle terre sconosciute dell'agire educativo post-covid-19. Dico "post" non per intendere che l'epidemia sia completamente superata, cosa di cui nessuno può avere certezza e su cui ognuno può avere dubbio, ma perché quel 4 di marzo ha cambiato completamente e per sempre le carte in tavola, non solo per la nostra vita in generale, ma soprattutto per il mondo educativo. Quale sia questo cambiamento è, probabilmente, cosa ancora da capire, ma ci sono alcuni riferimenti non trascurabili.
Prima di tutto, è cambiato il quadro giuridico e, fatto non trascurabile, è cambiato attraverso regole incerte e deboli. Non abbiamo, infatti, nuove leggi, ma provvedimenti di legge che si trascinano dietro delle linee guida, strumenti indubbiamente utili, ma non capaci di dare riferimenti certi e forse nati per porci in quello stato di necessaria analisi dei rischi che è, al tempo stesso, opportunità e limite. Non si può, però, dire che il quadro giuridico sia lo stesso. Da un paio di settimane, siamo così a confrontarci con le nuove linee di condotta e con la realtà, soprattutto nello 0-6, dove le necessità di relazione per svolgere l'azione educativa difficilmente possono escludere, senza avere ripercussioni sulla vita futura dei bambini, il contatto fisico. Ecco che, proprio mentre scrivo, molti si staranno confrontando con l'attrito che c'è tra il presupposto scientifico e teorico del distanziamento fisico e la realtà relazionare dell'educare. Tolte di mezzo, infatti, le proposte educative che si fondano sul contatto fisico, rimane la natura per lo più incontrollabile di mammifero dei nostri cuccioli e, diciamolo pure, di coloro che si dedicano all'educazione.
Ma c'è, a mio avviso, molto di più: noi siamo cambiati. I mesi del lockdown, le misure di distanziamento e gli stessi termini che lo hanno etichettato (distanziamento sociale e non fisico), le nostre esperienze con la malattia, il pressing delle news, ora catastrofiche, ora tranquillizzanti, e il modo in cui ognuno di noi ha potuto vivere i giorni di maggiore restrizione delle libertà costituzionalmente garantite ci hanno profondamente segnati. E' accaduto agli adulti, ma anche ai bambini. E' accaduto in modi che, forse, ancora non riusciamo a comprendere e che solo studi e ricerche approfonditi potranno caratterizzare. Io provo a darne una misura con un piccolo aneddoto collegato al mio coinvolgimento in un campo estivo. Ligio alle regole, ho indossato la mascherina per tutto il tempo della mia presenza e nessun bambino e o bambina ha in qualche modo manifestato una reazione a quel mio volto parzialmente coperto. Niente di nuovo per loro che stanno vivendo con la consueta naturalezza un nuova normalità. Niente di nuovo per loro, forse nemmeno niente di buono per loro. Ma questa è una mia sensazione. Ciò che conta è che, se potessi tornare indietro di 365 giorni e dovessi presentarmi in analoghe condizioni in un centro estivo dell'estate 2019, le cose andrebbero sicuramente in altri modi e quel mio volto coperto sarebbe in grado di generare reazioni ben diverse da quelle del 2020. Anzi, credo che per molti genitori quel volto parzialmente coperto oggi sia diventato un segno di sicurezza, un gesto di cura e rispetto verso i bambini, mentre nel 2019 sarebbe stato letto come una minaccia, come stimolo a chiedersi cosa non va nella salute di Emilio.
Qualcuno ha già vissuto tempi come questi? Probabilmente, in Italia no. Ecco che, nostro malgrado, siamo in una terra sconosciuta in cerca di nuove possibilità. Diamoci il benvenuto da pionieri e viviamo questo momento!
C'è, però, un'espressione usata piuttosto frequentemente, spesso usata anche da me, che recita più o meno così: "quando torneremo alla normalità". Non c'è niente di male nell'utilizzarla, ma mi chiedo cosa intendiamo per normalità. Io credo che, se per normalità intendiamo quello che c'era prima del marzo 2020, al massimo, potremo tornare ad una normalità giuridica. Immaginate una legge con la quale si dice "tutti i provvedimenti normativi assunti durante l'emergenza sanitaria Covid-19 sono abrogati". Ovviamente, non potrà essere così, ma proviamo a immaginarlo. Niente più distanziamento, niente più misurazione della temperatura corporea, niente più igienizzazione delle mani, niente di niente. Davvero questa magia giuridica ci restituirebbe "la normalità"? E' qui che entra in campo la foto che accompagna questo articolo, volutamente unica.
La ripropongo tal quale qui a sinistra e provo a raccontarla. Quei due bambini fanno parte di una sezione dei 5 anni di una scuola dell'infanzia e si trovano sul treno su cui sono saliti a Lucca diretti a Firenze. Vivranno una giornata bellissima e dai molteplici significati educativi, ma ancora non lo sanno. A me preme, però, osservarli in questo momento e pensare che, al netto di qualche raccomandazione preventivamente data a tutti i bambini, nel momento in cui ho scattato la fotografia li percepivo al sicuro. Non solo, l'invio della foto nella chat di Whatsapp ai genitori scaturì una grande approvazione e nessuno si preoccupò minimamente per la loro salute. Osservo con struggente malinconia quell'immagine e mi chiedo, quando davvero ogni restrizione di legge sarà superata e torneremo alla normalità giuridica pregressa, sempre che possa accadere, quanti adulti saranno in grado di non avere timori vedendo quei bambini. Quanti tra educatori, insegnanti, genitori non si porranno domande o non saranno assaliti da timori igienico-sanitari inesistenti prima del marzo 2020? E quanti bambini saliranno sul treno senza alcun "nuovo" timore? Inutile dire che una risposta a quelle domande non ce l'ho, ma che il mio timore massimo è che non si possa rispondere "Emilio, ma di quali domande e timori parli?". Già, se non siamo più gli stessi oggi, non saremo più gli stessi nemmeno domani.
Rifletto allora sul tempo educativo che sarà e a preoccuparmi non sono le linee guida che abbiamo o che avremo, in fondo solo strumenti con cui cogliere opportunità, ma il cambiamento avvenuto in noi. Ecco che se oggi viviamo in una terra sconosciuta in cerca di nuove possibilità con l'idea di attraversare una landa per arrivare altrove, il nuovo mondo sarà davvero un'altra terra sconosciuta in cui andare in cerca di nuove possibilità. Saremo, cioè, nuovamente pionieri.
La mia riflessione si ferma qui. Io non riesco, per ora, ad andare oltre, se non ponendomi due domande a cui non so rispondere e con le quali saluto chi ha avuto la pazienza di leggermi:
- abbiamo tutti ben compreso che siamo e saremo pionieri nel tempo educativo che è e che sarà?
- abbiamo le competenze per assumere collettivamente questo ruolo?
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Se hai voglia di mandarmi una riflessione in merito a questo, puoi scrivermi a info@emiliobertoncini.com
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