Primo breve viaggio tra gli orti veneti

Stamattina non avrei dovuto essere davanti a questa tastiera, ma la natura sa scompaginare i progetti di noi umani urbani avvezzi a programmare le cose con grande ottimismo. E' così che mi sono dedicato alla stesura di questo articolo, cosa che meditavo di fare fin dal mio viaggio in cerca di orti in Veneto fatto nel novembre scorso.

Gli Orti Solidali di Montebelluna (TV), i primi visitati durante mia incursione veneta, sono rimasti muti, almeno fino ad oggi. Sebbene con poco anticipo, ho cercato di contattare qualcuno che se ne occupa, ma non ho avuto fortuna. La mia visita è stata quindi, fredda, umida e solitaria. Poco male, perché è un modo per indugiare e guardarsi intorno. Purtroppo il silenzio è seguito anche alla mia visita e una promessa di invio di informazioni per e-mail è andata perduta. Non è certo una critica, ma di sicuro un punto debole di un progetto che, nella sua realizzazione, è imponente. Non nego che uno dei motivi della mia visita è stata la spettacolarità di un video frutto di una ripresa da drone che propongo qui sotto.


Due cose mi hanno colpito molto fin dall'osservazione da Google Earth, cosa che faccio sempre prima di visitare un orto. La prima è che si tratta di un orto - frutteto urbano completamente aperto e accessibile. Come è successo in occasione della mia visita, per entrare nell'orto basta abbandonare il marciapiedi ed entrare nel vialetto d'accesso. Proprio all'ingresso un cartello di benvenuto dà alcune informazioni essenziali e invita a rispettare il lavoro di chi si dedica volontariamente all'orto. La seconda cosa che mi ha colpito è il simbolismo offerto dalla vista in pianta degli orti solidali: il vialetto d'accesso rappresenta uno spermatozoo che giunge a fecondare un ovulo. L'unione di questa rappresentazione della fertilità e della coltivazione sinergica praticata nell'orto ha, indubbiamente, un grande fascino ed è un'idea progettuale molto forte. L'orto vero e proprio è nato con una tecnica definita "a lasagna" nella quale il letto rialzato su cui si coltiva nasce da una sovrapposizione di materiali organici, quali foglie, sfalcio d'erba, rami e altro, dalla cui progressiva decomposizione deriva il terreno di coltivazione.

L'orto sinergico è il cuore di un'area in cui sono presenti decine di alberi da frutto che tra qualche anno costituiranno un patrimonio importante di piante madri urbane per la città di Montebelluna (e non solo). La mia idea degli orti urbani e scolastici come "banche della biodiversità" a portata di mano di fronte a queste cose si rafforza come non mai. Questi alberi si affiancano ad alcuni pre-esistenti, sebbene non da frutto, e alle siepi al bordo dell'area che hanno sia una funzione di separazione delle aree urbane contermini, sia quella di favorire l'avifauna urbana.

Se l'orto è rimasto silente per me, qualcuno è stato più fortunato e allora inserisco in questo post anche il video realizzato da Igor Francescato. Per vederlo (e ascoltarlo!) basta cliccare sull'immagine a fianco.

Intanto io proseguo nel racconto del mio viaggio...


E' un lunedì dopo pranzo e, soprattutto, dopo una mattina di pioggia, freddo e vento, quando mi sento al telefono con Alfio Bolzonello, uno dei principali protagonisti di un progetto che ha dell'incredibile, quello dell'Orto Urbano del Quartiere San Paolo, nella città di Treviso. Ancora una volta, prima di partire per la mia visita ho sbirciato da Google Earth e, nuovamente, mi sono trovato di fronte ad un simbolo. Questa volta è un infinito dentro al quale avrebbero dovuto svilupparsi gli orti. Quasi a dimostrare la misura di un fenomeno che cresce, oggi gli orti dati in concessione agli abitanti del quartiere, sono usciti dal simbolo e lo hanno circondato.

L'incontro con Alfio non avviene nei pressi dell'orto, ma in un parcheggio del quartiere. "Dove ti sembra di essere?" mi chiede. "In un parcheggio" rispondo io. "No, sei nel centro del quartiere! Dove chiunque si aspetta di trovare una piazza, un monumento o una fontana, qui c'è un anonimo parcheggio. E quella laggiù la vedi? E' la chiesa, anzi, il retro della chiesa. Anche lei sembra aver voltato le spalle al quartiere. Qui non torna nulla", incalza. Sulle prime mi chiedo quale sia il perché di questo sfogo, poi capisco. L'urbanistica non sempre regala belle cose e il progetto che sto per scoprire non è un'occasione per fare l'orto, ma un caso da manuale in cui l'orto è strumento per fare altro: si sta cercando di restituire un cuore pulsante, l'equivalente di una piazza, al quartiere. E quel cuore pulsante è un grandissimo orto, quello che avrebbe dovuto rimanere all'interno dell'infinito e, invece, è andato ben oltre. Ma non basta: il cuore non è da solo e nelle idee di chi anima il progetto (dietro ci sono ben 6 associazioni, inclusa quella del quartiere) il suo pulsare potrà portare grandi cambiamenti. Non è da solo perché in un fondo sfitto del quartiere, a pochi passi dal suo anonimo centro, è nata una galleria d'arte, un luogo in cui attrarre artisti importanti che vengono da fuori a portare energie positive, a istigare la voglia del bello. 
"Siamo l'unico orto con la galleria d'arte. Qui si fa cultura e non semplice coltura", dice Alfio con gran serietà. Mentre ci avviamo verso l'orto vero e proprio e io cerco di fare le domande che l'agronomo che c'è in me suggerisce, mi rendo conto che il numero e la dimensione degli orti sono fatti puramente accessori. Nella testa di Alfio ci sono siepi e recinzioni da abbattere, collegamenti da creare tra l'anonimo centro geometrico del quartiere e l'orto, ormai eletto a piazza coltivata di quello che vorrebbe/potrebbe diventare un paese, tra questo e la chiesa. E poi quel campo di proprietà comunale, come quello in cui sono nati gli orti, in cui la gente del posto va a raccogliere erbe spontanee che potrebbe diventare il "campo degli erbi", istituzionalizzandone la funzione che già oggi ha. Me lo dirà solo alla fine del nostro incontro, ma io non riesco ad aspettare e devo scriverlo ora: "Sai cosa per cosa ci ringraziano le persone che vivono nelle case di fronte all'ingresso dell'orto? Ci dicono grazie perché qui", e intanto indica un rudere di proprietà comunale, "tutti i giorni succedevano strane cose, quelle che in TV chiamano microcriminalità, e loro chiamavano la forza pubblica senza risultato. Nato l'orto tutto è finito". A me tornano in mente le parole di Sirio Orselli, Presidente del Comitato di Gestione degli orti di Viareggio nuova quando ho scritto Orticoltura (eroica) urbana: "gli orti urbani sono delle zone presidiate e pulite della città". 
Finalmente entriamo nell'area degli orti. Passiamo dal grande capanno per gli attrezzi alla tensostruttura per i momenti conviviali al coperto, da uno sguardo ai servizi igienici a quello sul laghetto per l'acqua di irrigazione. Incontriamo chi è al lavoro per costruire le sagome degli alberi di Natale in metallo. La saldatrice nell'orto mi mancava ed è chiaro che aver qualcosa da fare in questo spazio è un buon motivo per uscire di casa senza chiudersi in un bar. E poi passeggiamo tra gli orti. La struttura dell'infinito ha generato reliquati che sono diventati aiuole fiorite e, "perché gli orti sono una piazza e devono essere belli", i fiori sono obbligatori in tutti gli orti. Così nel laghetto per l'irrigazione ci sono le ninfee.

Non tutto fila liscio e alcune famiglie con bambini non riescono a seguire l'orto. Le parcelle che abbandonano sono affidate ad altri attraverso un bando, ma dal problema nasce la ricerca delle soluzione. Alfio mi mostra uno spazio in cui nasceranno degli "orti easy" (confesso: non so se è un'espressione usata da Alfio o una mia invenzione nel quaderno degli appunti), orti più piccoli, eventualmente coltivati in forma condivisa e con funzione didattica. Questi potranno evitare che le famiglie in difficoltà abbandonino l'orto, ma anche consentir loro di ridurre il tempo da dedicare all'orto. C'è già un orto a coltivazione condivisa, è quello solidale in cui si coltivano ortaggi che vengono donati alle associazioni che aiutano le famiglie in difficoltà.

Ci sono 5-6 orti coltivati da persone originarie di paesi diversi dal nostro. Si tratta di persone e nuclei provenienti dalla Nigeria, dal Burkina Faso, dal Senegal e dal Bangladesh. Ha dell'incredibile quello che accade nell'orto "del Burkina Faso". Durante l'estate gli ortisti si collegano via Skype col villaggio di origine e ne nascono vere e proprie lezioni di agronomia intercontinentali. Chi vive in Italia dà suggerimenti su modi diversi di coltivare e coloro che ancora vivono in Burkina Faso suggeriscono come coltivare piante che io nemmeno conosco. Ancora una volta ho la sensazione di essere in un laboratorio di ingegneria sociale dove si cercano soluzioni per il futuro. Ma qui si sta facendo anche una nuova urbanistica che parte dal quartiere, dalla gente che ci vive. Alfio snocciola idee e progetti e mentre mi offre un caffè mi dice una delle cose più importanti: "quando andiamo a chiedere aiuto ci chiedono chi siamo e quando scoprono che siamo quelli degli orti le porte si spalancano. L'orto è una cosa concreta e visibile, una creatura viva che dà risultati. E' ciò che ci dà credibilità". Non è un risultato da poco!

E' difficile salutarsi ed è inevitabile promettere che tornerò. Più di ogni cosa, è una promessa che faccio a me stesso: qui potrebbero succedere cose davvero importanti e per chi coltiva una passione come la mia, una passione che è personale e professionale, è impossibile non seguire vicende come queste. Tuttavia, le passioni vivono in modo strano e per me è tempo di correre in un altro quartiere di Treviso prima che faccia buio. 

La tappa successiva sono gli Orti sociali di Via Boccaccio. All'apparenza si tratta di semplici orti sociali, non diversi da quelli di altre città, ma c'è di più. Gli oltre 80 orti di circa 25 metri quadrati sono gestiti da un gruppo consolidato di cittadini che ha adottato questo spazio e rivendica un ruolo decisionale con grande determinazione. Molti di loro sono andati ben al di là del farsi l'orto e hanno supplito ad alcune carenze di manutenzione generale, hanno ripulito un fossato, piantato arbusti per naturalizzare alcuni spazi e, soprattutto, guardano fuori dallo steccato dell'orto.

Foto tratta dalla pagina Facebook degli orti
Grazie alla nascita di un'associazione e a una apposita convenzione, i bambini di alcune classi della scuola primaria locale periodicamente visitano l'orto e alcuni "nonni" dell'orto si recano a scuola per coltivare con i bambini. "Ad un certo punto abbiamo chiarito una cosa: i bambini devono sporcarsi le mani, essere protagonisti dell'orto per imparare", mi dice Ennio Danesin. Non potrei che abbracciare lui e le altre persone che mi accompagnano nella visita per esprimere l'apprezzamento per queste parole. Ci conosciamo da pochi minuti e lo evito, ma inizio a seguire la loro pagina Facebook e proprio qualche settimana fa ho scoperto che l'orto si è dotato di una serra: in queste cose c'è tutta la bellezza dei sogni che diventano realtà.


La mia incursione veneta trova finalmente il bel tempo, quello che mi accompagna all'Ospedale San Camillo di Venezia. E' li che si trova l'orto - giardino terapeutico nato dal progetto "Un giardino per rivivere". Non è una visita facile perché qualche sera prima, grazie all'ospitalità di Costantina Righetto ho conosciuto la Dott.ssa Francesca Meneghello, neurologa e responsabile dell'Unità Semplice di Neuropsicologia dell'Ospedale. Da lei ho avuto il racconto di come è nato il giardino, degli sforzi fatti per massimizzarne l'utilità e delle difficoltà che si devono affrontare con i pazienti.
Ebbene io arrivo con un background culturale che mi consente uno sguardo inusuale su quel giardino e la dottoressa mi ha chiesto qualche consiglio e uno sguardo critico, ma il contesto ospedaliero in cui mi muovo mi dà una grande responsabilità e un po' di soggezione. Non solo: Costantina ha fatto una tesi di dottorato di ricerca sul giardino terapeutico e io ne ho avuto un racconto frammentario e ancora non l'ho letta. Anche l'incontro, pur fugace, con alcuni pazienti non è cosa facile per chi è abituato a lavorare con i bambini e non con adulti che vivono una fase difficile della vita. Si tratta di persone in neuro-riabilitazione che, tra le numerose opportunità terapeutiche offerte dall'ospedale, hanno la possibilità di fare orto-terapia. Ne parlo a lungo con Vanessa, l'educatrice professionale che da qualche mese si occupa direttamente delle attività di orto-terapia. Raccontare questo spazio è difficile e, sicuramente, mi richiede un'attenzione e un approfondimento che ad oggi non ho fatto. E' per questo che non faccio descrizioni e mi affido ad un video in cui la Dott.ssa Meneghello e alcuni pazienti spiegano cos'è il giardino terapeutico. Forse un giorno dedicherò un articolo apposito a questa esperienza, un'altra di quelle che mi riprometto di seguire nel tempo.




Come i giorni trascorsi in Veneto, questo post è giunto alla fine, ma non manca la sorpresa finale. Quando avvio il motore della mia auto a Mestre stimo di avere a disposizione ancora un'ora di luce. Il tempo è prezioso quando si fa ricerca sul territorio e ringrazio l'invenzione del navigatore satellitare. E' solo grazie a quello che in pochi minuti arrivo all'Orto Condiviso del Quartiere Cita di Marghera. Questa volta la visita è muta perché la mia visita non è annunciata e l'orario e la stagione non sono di certo quelli ideali per incontrare qualcuno. Il maltempo dei giorni precedenti ha fatto precipitare le temperature ed è anche freddo. L'orto è piccolo rispetto a quelli visitati nei giorni precedenti e ai miei occhi appare terribilmente compresso in un territorio in cui l'urbanizzazione è stata pesante, almeno per i miei standard. Non faccio in tempo ad affacciarmi nell'orto che la mia percezione cambia. Ancora una volta l'orto non è solo coltura, ma soprattutto cultura. E nell'orto, oltre agli ortaggi invernali, cresce la voglia di leggere con una bellissima libreria piena di libri. Purtroppo non ne ho uno con me da regalare, ma prima o poi passerò di nuovo anche da queste parti per parlare con chi anima questo spazio di speranza.



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Le visite agli orti che ho segnalato in questo post sono state possibili grazie all'aiuto e alla disponibilità di molte persone, che ringrazio.

Un ringraziamento particolare va a tre signore molto speciali che mi hanno accolto, ospitato e coccolato facendomi sentire subito "di casa". Sono le già citate Costantina Righetto e Francesca Meneghello alle quali si aggiunge Elena Schiavon. Loro non lo sanno ancora, ma mi rivedranno presto e io avrò ancora bisogno del loro aiuto. Tutta colpa dei suggerimenti che mi hanno dato e delle idee che siamo riusciti a condividere. 

Un ringraziamento davvero speciale va a Costantina che mi ha aperto le porte di casa e mi ha ospitato senza avermi mai incontrato prima.







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