Testa o cuore? Qualche riflessione educativa dopo gli incendi del Monte Pisano


Foto tratta dal web - autore da me non identificabile
Vivo in Toscana, per la precisione in una frazione del comune di Lucca, e camminando da casa mia raggiungo le propaggini del Monte Pisano in mezz'ora. Per professione e per passione frequento l'area del Monte Pisano da decenni. Quando la frequentazione è di così lunga data, un luogo entra nel tuo cuore, diviene parte di te. E' per questo che nei giorni scorsi ho subito un duro colpo: a partire dalla sera del 24 settembre 2018 un vasto incendio ha "distrutto" una superficie ancora da misurare compiutamente, ma che nelle notizie di cronaca viene stimata in oltre 1.400 ettari. Per i non addetti ai lavori, si tratta di 14 milioni di metri quadrati. E' una superficie enorme che include foreste, coltivi e anche alcune abitazioni che sono andate a fuoco. La foto che vi propongo qui a destra, tratta dal web e della quale non conosco l'autore, mostra uno scenario drammatico che sembra tratto direttamente dalla Divina Commedia. E' una delle immagini simbolo di un evento che rimarrà, purtroppo, negli annali.

Foto tratta dal web - autore presunto Crizuna via Instagram
Qui a sinistra c'è un'altra delle immagini simbolo dell'incendio. A differenza della prima, è in grado di dare le proporzioni dell'incendio e di mostrare anche quale sia l'area interessata, in vario modo, dagli effetti del fuoco. Potrei raccontarvi che l'aeroporto di Pisa ha subito quasi due giorni di chiusure, che molte scuole sono state chiuse, che centinaia di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case. Ma anche che abbiamo perso migliaia di alberi, che sono morti degli animali, che l'ecosistema forestale e gli agro-ecosistemi del Monte Pisano hanno subito danni gravissimi, ma non è di questo che voglio parlare. La mia attenzione in questo momento è tutta spostata sulle varie iniziative atte a "riparare il danno" che stanno nascendo in queste ore.

Prima di entrare nel merito, vi invito a cliccare sull'immagine che trovate qui sotto per vedere un frammento di una delle puntate di Geo direttamente sulla piattaforma RaiPlay. Spero che dopo averla vista abbiate voglia di tornare a leggere quanto sto per scrivere sotto l'immagine. In caso contrario, questo post avrà, comunque, ottenuto un buon risultato: avete sentito il parere di un esperto.

 Ascolta il parere degli esperti
Ascolta il parere degli esperti

Ascoltando il servizio, avrete compreso come dopo gli interventi di spegnimento degli incendi boschivi la cosa migliore da fare, salvo gli interventi di difesa a breve termine dal dissesto idrogeologico, sia attendere. Già, i boschi e gli ecosistemi in generale hanno la capacità di reagire alle perturbazioni che ricevono dall'esterno. Questa loro capacità, quando non è messa a dura prova da altri fattori, consente al bosco di ricostituirsi in modo naturale. Proprio per questo le norme vigenti dicono che il bosco "distrutto" dal fuoco continua a mantenere il proprio status giuridico. Per tradurlo in parole semplici, quello che ai nostri occhi sembra un deserto privo di vita e che il nostro cuore è ha difficoltà a definire bosco, è ancora tale. Lo è dal punto di vista giuridico e lo è anche da quello ecologico. Il primo aspetto è di importanza determinante poiché tutti le regole vigenti nel bosco prima dell'incendio sono ancora valide e a esse se ne aggiungono altre. Per esempio, sono vietati vietati la caccia e il pascolo nei boschi percorsi dal fuoco, così come continua ad essere vietata l'edificazione. L'altro punto di vista, quello ecologico, ci dice una cosa importante: il bosco apparentemente distrutto è stato, in realtà, solo danneggiato e molte piante e organismi, con meccanismi diversi, sono in grado di ricostituirlo. Hanno solo bisogno di tempo, tempo nel quale è opportuno non turbare ulteriormente il bosco. Avrete sentito Andrea Gennai dire che è vietato usare soldi pubblici per il rimboschimento, cioè per ricostituire il bosco. Fatte salve alcune speciali eccezioni, infatti, la norma tende ad evitare due circostanze. La prima è quella dei danni che possono essere potenzialmente arrecati da questi interventi al bosco che si trova in una fase molto delicata della propria esistenza. La seconda è che i fatti dell'uomo sono spesso molto tristi e la possibilità di ricavare un reddito dagli interventi successivi all'incendio può fornire un alibi agli incendiari, cioè ai criminali che appiccano il fuoco.

L'insieme di queste considerazioni, induce a scoraggiare alcune iniziative "nate dal basso" che vorrebbero riparare in breve tempo i danni dell'incendio. Si va da quella lanciata sui social che invita i cittadini a comprare alberi e piantarli nelle zone colpite dall'incendio, particolarmente sbagliata nelle premesse perché il comune cittadino potrebbe non sapere quali sono le essenze forestali più adatte per un intervento di questo tipo, ne conosce le tecniche migliori di piantumazione e protezione degli alberelli, a quella di un quotidiano che invita a donare soldi alla Regione Toscana per le successive piantumazioni "a regola d'arte". Non manca il Sindaco della mia città che ipotizza l'utilizzo della risorsa pubblica "Orto botanico" per moltiplicare le piante più adatte agli interventi di riforestazione. In questo caso, tra l'altro, c'è da notare che l'iniziativa, pur lodevole sul piano umano, rischia di trascurare il fatto che la Regione Toscana ha già le proprie strutture in cui svolgere operazioni di questo tipo, come il Vivaio "La Piana" di Camporgiano (LU). Il fattore che accomuna tutte queste iniziative e il nostro sentimento di riparazione è la tendenza ad ignorare il parere degli esperti e, in alcuni casi, anche le competenze istituzionali. Non va trascurato, poi, il fatto che molti dei terreni percorsi dal fuoco sono privati e che le azioni da svolgere su detti terreni, qualora ne esistano, richiedono il coinvolgimento dei legittimi proprietari, oltre al rispetto delle norme vigenti.

Se avete letto fin qui, posso finalmente arrivare al nocciolo della questione e lanciare una proposta. 

Il nocciolo, a mio modo di vedere, riguarda i nostri tempi e ci porta in ambiti quali la sociologia e l'educazione. Perché lasciamo che il nostro cuore possa sopraffare la ragione e ci lanciamo in iniziative che cozzano con il parere degli esperti? O, meglio, perché prima non ci informiamo presso gli esperti per sapere cosa fare? Perché ci improvvisiamo terapeuti senza relazionarci con il medico che possa fare diagnosi e prognosi fornendo poi una terapia? Io in questa sede non voglio dare una risposta a queste domande, ma solo porre l'attenzione al fatto che qualcosa si è drammaticamente deteriorato. Cosa? A mio avviso si sono perse la fiducia nella scienza e nelle istituzioni. Il tutto, è aggravato, dall'acuirsi di un altro problema: i social network hanno reso virali, per usare un'espressione a loro cara, le onde emotive che seguono ai fatti di cronaca. Ogni onda è, cioè, sempre più alta. Chi sia andato per una volta al mare avrà, però, notato che quanto più alta è un'onda e quanto più facile è che essa ci infranga su di sé, soprattutto quando si avvicina alla riva che sembra essere il suo punto d'arrivo. Così, le onde emotive di oggi raggiungono altezze insperate, ma durano sempre di meno. Questo, considerati i tempi di recupero degli ambienti naturali danneggiati dagli incendi, è un problema ulteriore. L'attenzione sul Monte Pisano, tutto e non solo la parte interessata dagli incendi, dovrà rimanere alta per decenni, non per giorni o settimane. Il rimedio, infatti, in questo caso richiede tempi lunghissimi e non ha soluzioni "a portata di click", così come l'evento da cui scaturisce questa riflessione non ha origine nel tardo pomeriggio di un giorno di questo settembre, ma in tutte quelle dinamiche di portata storica che hanno condotto il Monte Pisano e le sue foreste ad essere vulnerabili oltre la soglia tipica dei boschi dell'area mediterranea.

A questo punto cosa si fa? La mia opinione è che il comune cittadino debba lasciare spazio d'azione agli esperti e alle istituzioni e che il suo ruolo sia quello di mantenere alta l'attenzione sociale e politica su quanto accaduto e quanto debba essere fatto, considerando che una parte dell'agire possa essere un ragionevole far niente per lasciare alla natura la possibilità di essere se stessa.

Se, oltre ad essere arrivati qui, avete anche letto il sottotitolo di questo blog, comprenderete l'unica delle proposte che faccio direttamente: invito tutte le scuole a utilizzare nei mesi e negli anni a venire la zona interessata dal fuoco come laboratorio didattico all'aria aperta. Fatelo andando periodicamente nello stesso luogo per vedere cosa succede nel tempo, come l'uomo e la natura reagiscono a questo evento. Se possibile, fatelo con esperti di settore che agiscano nel loro quotidiano per professione e non per missione. Date, cioè, ai bambini e ai ragazzi un punto di vista qualificato, ma non di parte. Fate anche parlare i nostri giovani con le istituzioni per capire quale sia il loro ruolo.

Io la mia l'ho detta. Grazie per l'attenzione e per tutto quello che potrete pensare e agire dopo questa lettura.




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